gioco d'azzardoInvidia, depressione e facebook, questi tre termini vanno spesso a braccetto. A suggerirlo è una ricerca pubblicata lo scorso anno sulla rivista Computers in Human Behavior e condotta dall’università del Missouri su 700 studenti.

Il presupposto su cui si basa questo assunto è semplice: facebook, ormai, è una vera e propria “finestra sul cortile”. Tutti possono vedere le vite degli altri e seguirne l’evoluzione. Ebbene, se non si è appagati con la propria situazione e si vedono gli stati di felicità di amici e conoscenti, può scattare uno stato di invidia per quello che si vorrebbe avere e, successivamente, cadere in una profonda spirale depressiva.

Come ha spiegato Margaret Duffy, titolare dello studio: “Facebook può essere un’attività divertente e salutare se usato per rimanere in contatto con amici e parenti e aggiornarsi sulle loro vite, ma, se usato per vedere come vanno le cose a un vecchio amico, se sta economicamente bene o vive un amore felice, allora questo può scatenare invidia e portare a sentimenti di depressione”.

Alle stesse conclusioni è giunto un altro studio, quello condotto dai sociologi Hui-Tzu Grace Chou e Nicholas Edge della Utah Valley University su 425 studenti universitari. Anche in questo caso i partecipanti dovevano rispondere a domande inerenti la loro felicità e quella dei loro amici.

Il 95% degli studenti intervistati ha ammesso di usare facebook e di collegarsi (e restarvi), almeno 4.8 ore a settimana. Il dato più significativo, però, è un altro. La maggior parte di questi assidui “consumatori” ha, infatti, dichiarato di pensare che i propri amici presenti sul social network fossero più felici di loro. Al contrario, chi passava il tempo con gli amici “reali” era più orientato a guardare la vita con ottimismo.

Questo comportamento è stato denominata dalla dottoressa Chou, “bias di corrispondenza”, ossia la tendenza psicologica con cui traiamo conclusioni errate su una persona sulla base di una conoscenza limitata.

La depressione da social network colpisce anche i giovanissimi e rientra in quella ampia categoria di disturbi psicologici denominata nomofobia. A dirlo è un altro studio, questa volta condotto dai ricercatori dell’Università di Glasgow su un campione di 467 bambini tra gli 11 e i 17 anni. Ebbene, i giovanissimi che passano tempo su facebook, manifestano insonnia, depressione e ansia.

La verità è che il confine tra reale e virtuale è sempre più labile e, soprattutto i più giovani, faticano a comprendere la differenza tra le due situazioni. Facebook è l’esempio moderno del mito della caverna di Platone: i ragazzi di oggi sono come i prigionieri immaginati dal filosofo greco. Le catene a cui questi erano imprigionati sono i vari computer e tablet e le ombre che vedono sono i moderni profili dei loro amici virtuali. Anche qui, come nell’allegoria descritta da Platone, lo scopo è uscire alla luce del sole e confrontarsi con la realtà vera.

La domanda da porsi è: in quanti avranno il coraggio di affrontare la vita di tutti i giorni, invece di immalinconirsi nel guardare quella degli altri?
L’unica realtà che conta è quella di cui si possono portare con orgoglio cicatrici e medaglie sulla propria pelle, non quella che sparisce non appena si preme il comando “arresta il sistema” di un computer.